Un ritratto di Ercole Incalza firmato NoTav e datato 2010
Claudio Giorno (NoTav per Carta )
Proprio oggi, mentre si rincorrono voci sulla lista dei beneficiari del faccendiere Anemone [dal vicepresidente del Csm alla moglie di Bertolaso] e mentre si parla di dimissioni [sarebbe la prima volta] di Ercole Incalza dal ministero di Matteoli, il Cipe delibera 11 miliardi di grandi opere. Diciamo subito che non c’è, negli elenchi fin qui trapelati, neanche un cent per la Torino-Lione. I soldi – prevalentemente a debito – spostati alla bisogna riguardano progetti, quarte corsie, segmenti di Tav e persino [non resta che sperare che sia vero] qualche spicciolo per evitare che le scuole continuino a crollare addosso agli studenti. È la solita grande abbuffata per ingegneri e architetti. Solo che questa volta potrebbe essere dispensata, ironia della sorte, in assenza proprio del Grandesacerdote delle grandi opere: Ercole Incalza, architetto e ingegnere.
Tornato suo malgrado agli onori della cronaca per un alloggetto acquistato [a sua insaputa?] per la figlia, Incalza è un personaggio poco noto al grande pubblico, ma che riveste da trent’anni ruoli chiave nella ideazione e approvazione di quelle opere che nel nostro bel paese arrivano a costare fino a nove volte la media europea. Se ne può comunque abbozzare un ritratto partendo da una vecchia foto che ritrae il «nostro» un po’ defilato ma al tavolo di un convegno romano organizzato dai Verdi. L’immagine è del 22 marzo 1991. All’epoca – naturalmente – anche Incalza si dichiarava «di sinistra», e se si guarda bene lo si nota in buona compagnia: al suo fianco siedono altri due «sinistri» destinati di lì a poco a una brillante e ricca carriera: «Chiccotesta» e una allora giovanissima Mercedes Bresso. Nel 1991 l’archingegnere è al Cipet [l’inutile Comitato interministeriale della programmazione economica dei trasporti] con il collega Giuseppe Sciarrone [che ritroveremo assieme a Emilio Maraini, Cesare Vaciago e altri alla corte di Lorenzo Necci, grande artefice della Tav all’italiana].
Nel 1994 scende in campo Berlusconi, che in una indimenticata serata presso il maggiordomo di regime Bruno Vespa presenta al pubblico l’uomo destinato a dare una svolta all’Italia immobile e in crisi d’astinenza da calcestruzzo: l’ingegner Pietro Lunardi [anche lui ricomparso in questi giorni, dopo un ingeneroso oblìo, grazie alle agende di Anemone]. Grazie a Lunardi, che finalmente fonde trasporti e lavori pubblici in un unico e ricco ministero, quello delle infrastrutture, Ercole Incalza viene promosso consigliere del ministro con delega ai rapporti internazionali, per cui si insedia anche nella commissione Van Miert dell’Unione europea, una delle tante destinate ad accanirsi terapeuticamente al capezzale della rete dei trasporti transeuropea Ten-t. E sempre grazie a Lunardi, Incalza entrerà nel marzo del 2006 nel consiglio d’amministrazione del «metrò del formaggio» cui lo stesso Incalza dovrà destinare i fondi, mettendosi un po’ il cappello governativo Cipe e un po’ il berretto parmigiano. Ma, tornando agli anni d’oro di Necci, è lui che lo nomina amministratore delegato di Tav SpA, ed è per aver ricoperto quel ruolo che il 7 febbraio 1998 [come ricorda Alberico Giostra su Diario nel 2004] l’archingegnere, già implicato negli scandali delle opere fantasma di Italia 90, viene arrestato su mandato dei giudici di Perugia.
È accusato di concorso in corruzione insieme a Necci, Pacini Battaglia, Maraini: avrebbe corrotto l’ex capo dei gip di Roma Squillante e il pm Giorgio Castellucci, che dovevano indagare sulla Tav. Incalza e Maraini avevano affidato per quattro anni consulenze miliardarie a tre avvocati amici di Castellucci: Di Amato, Grollino e Petrelli. Secondo i giudici, Incalza faceva parte integrante di quella «struttura bene organizzata composta da manager pubblici e privati» che manipolava gli appalti per «creare fondi extracontabili per erogare tangenti verso il potere politico che quei vertici avevano sponsorizzato e verso gli stessi amministratori pubblici per garantire il loro illecito arricchimento». Insomma il sistema Tav proprio come fu ideato da Necci e Pacini.
Ma la sua carriera non subisce danni rilevanti, se è vero come è vero che la sera dopo l’allora ministro dei trasporti, Claudio Burlando, attacca la conduttrice del Tg3 Bianca Berlinguer che gli chiede conto della mancata pulizia nei vertici Fs e Tav SpA dopo gli scandali, definendola «male informata» e garantendo che nessuno dei chiacchierati Necci boys aveva più incarichi delicati nelle ferrovie. Grazie alla documentazione inviata tempestivamente dal Comitato Habitat della Valle di Susa, la conduttrice potrà replicare la sera successiva, dando conto della nomina recente del signor Ercole Incalza «a presidente del gruppo di lavoro economia e finanza della Commissione intergovernativa italo francese per la realizzazione del tunnel da 54 Km sotto le Alpi, che lo stesso ministro Ds aveva affermato potesse costare anche più dei 15 mila miliardi di lire ipotizzati inizialmente e a totale carico dei cittadini».
Il [breve] ritorno di Prodi al governo del paese non causa il benché minimo danno al «nostro» Incalza. Che del resto, come ricorda il giudice Ferdinando Imposimato nel libro «Corruzione ad alta velocità», aveva tirato abilmente in ballo il primo ministro in persona, che «nella sua qualità di presidente dell’Iri aveva dato il benestare all’aggiudicazione dei lavori a società quantomeno sospette, certamente in odore di Camorra, stando almeno a quanto emergerà dal rapporto dello Sco e alle indagini della procura di Napoli» [dall’audizione dell’amministratore delegato della Tav, ingegner Ercole Incalza, alla Commissione antimafia il 14 settembre 1995, ndr]. E ancora, Imposimato ci svela in questi giorni in un articolo pubblicato su «la Voce» che «a tutto questo occorre aggiungere un dato inquietante. Riguarda il record che detiene l’Italia nelle violazioni di direttive europee in materia di appalti per le grandi opere pubbliche. E ancora un volta l’imbroglio non sarebbe mai scoppiato con il controllo dell’opposizione, compresa l’Italia dei Valori. Ha fatto bene Salvatore Borsellino a lasciare Antonio Di Pietro, che predica bene e razzola male». Si capisce facilmente perché neanche l’ex pm più feroce d’Italia, nelle due volte che si è seduto sulla poltrona di ministro delle grandi opere, si sia accorto di avere a che fare con un responsabile quantomeno discutibile, stabilmente sistemato in ruoli chiave nel suo dicastero…
Ma ci vorrà l’arrivo in piazza della Croce rossa del «federale della Maremma», Altero Matteoli [oggi definitivamente sdoganato dal Cavaliere in chiave anti Fini] perché Ercole Incalza torni al vertice del ministero delle infrastrutture e dei trasporti e faccia incetta degli incarichi più rilevanti, e addirittura assuma direttamente la responsabilità di scegliere le opere da inserire nella «legge Obiettivo» e di tutto quanto c’è di più delicato proprio in materia di appalti.
Tutto si può dire di questo bi-laureato tranne che non sia riconoscente: se si visita il sito della fondazione Lorenzo Necci [alzi la mano chi sapeva della sua esistenza], destinata a perpetuare ai posteri la memoria di cotanto manager, Incalza si trova nel comitato d’onore, orgogliosamente seduto tra Gianni De Michelis e Paolo Cirino Pomicino [gli altri sono: Enrico Cisnetto, Paolo Costa, Gianluigi da Rold, Francesco Gironda, Emiddio Novi, Nicola Piepoli, Giuseppe Sciarrone, Giuseppe Smeriglio, Stefano Spinelli, Cesare Vaciago].